Sant’Antonio Abate è un santo moderno, nonostante sia vissuto in Egitto tra il III e il IV secolo. La sua resistenza alle tentazioni del demonio, la fede smisurata che lo ha scampato alla persecuzione, la volontà di isolarsi dal mondo per conoscerlo a fondo lo rendono un esempio non solo per i suoi contemporanei o i cristiani dei primi secoli del Medioevo (quando il suo culto approdò definitivamente in Europa) ma anche per chi – oggi – non ne conosce ancora la storia.
Si racconta che vi era un tempo in cui gli uomini non avevano il fuoco. Sprovvisti dell’elemento che muta la natura in cultura, brancolavano nel buio di una vita animalesca che non conosceva il calore, la cottura dei cibi, la possibilità di forgiare le proprie esistenze.
Intuìto che il mondo non terminava sotto i sui piedi, Antonio, che si era spogliato dei suoi beni fondando la prima comunità anacoreta della cristianità, si fece coraggio e scese negli inferi. Il diavolo, che aveva tentato l’uomo santo per giorni e giorni nel deserto senza riuscire a distoglierlo dalla sua verità, qui serbava gelosamente fiamme e braci: il fuoco era la porzione di Universo che era riuscito a tenere per sé. L’abate, così, lo affrontò per l’ennesima volta e, con pazienza ed ingegno, riuscì a rubargli una scintilla; custoditala nel suo bastone di ferula e salvo dall’ira del demonio, consegnò il calore di Dio – quell’elemento nascosto a chi non rischia – agli uomini.
Da allora, il Prometeo dello Spirito, è il protettore del fuoco, che ancora oggi è acceso in suo onore nel periodo dell’anno che segna il colpo di coda dell’inverno, proprio quando le giornate si allungano lentamente e il freddo più pungente sta per arrivare. Nella notte tra il 16 e il 17 gennaio grandi falò reinventano la materia producendo calore, luce, momenti di convivialità e ritornano a possedere, perché benedetti dal passaggio del santo in processione, quel carattere sacro, protettivo e rassicurante per le future lunghe notti d’inverno.
Protettore degli animali domestici e del fuoco, esempio di resistenza alle tentazioni e alle avversità, sant’Antuono (com’è chiamato in Campania per distinguerlo dall’omonimo di giugno) difende anche la componente ferina degli uomini. Ritogliendogli metaforicamente il fuoco e facendoli ripiombare nello stato animalesco, a Sant’Antonio gli uomini si mascherano da bestie. Il 17 gennaio inizia ufficialmente il periodo di Carnevale, durante il quale il sovvertimento della realtà risolve il rischio di una vita di stenti, fa tornare sulla terra i morti coperti da maschere e i vivi diventano ciò che desiderano e deridono ciò che sono diventati.
A “Sant’Antuono maschere e suono” in molti paesi lungo l’Appennino si fa il giro delle case suonando e cantando, chiedendo salsicce, vino e formaggio, la festa si consuma nelle pance che diventano i granai della memoria, suolo fertile ricolmo di germogli.
Celebrando la forza di questo uomo-eroe, nonostante l’iconografia lo rappresenti anziano e canuto, si può comprendere la complessità di un exemplum che invita ad ardere i ripensamenti del cuore nel tempo in cui tutto appare fermo ma in realtà cresce nell’ombra.
Foto e testo: Simone Valitutto