Se quella che percepiamo come la nostra esistenza fosse in realtà un’opera di narrativa? Che ne sappiamo? E come potremmo saperlo?
Robert H. Hopcke.
Breve viaggio in Sicilia, seconda metà di agosto 2017. Io, mio marito e i nostri bambini per una serie di circostanze, partiamo in macchina senza aver prenotato nulla. Abbiamo grande fiducia nel nostro amato Airbnb. In Spagna, a Londra, a Parigi, per viaggi di lavoro, ci ha sempre egregiamente supportato, garantendoci il contatto con le persone del luogo e tanta accoglienza.
Una delle tappe del nostro percorso sulla Sicilia Ionica è l’area catanese, e vogliamo alloggiare in uno dei paesini dell’Etna. Troviamo subito la disponibilità in una villa a Nicolosi, la “porta dell’Etna”: le foto raccontano di una bellissima dimora. Una depandance con giardino, tradizionali muretti in pietra lavica a secco, arredo caldo di casa elegante e curata. La prendiamo per tre notti.
Il luogo supera le aspettative. La casa è suggestiva: un luogo pieno di storie, ogni oggetto proveniente da varie parti del mondo emana energia di vissuti raffinati e stile di vita non ordinario. Siamo arrivati a Villa Statella, e sicuramente i proprietari, una coppia sui sessanta anni, sorridenti e gentili, non sono persone qualsiasi. Lui mi dice subito di essere uno chef. La mattina dopo lo sento frugare nell’orto, va nel pollaio a raccogliere le uova, armeggia nella cucina del giardino grande. A sera tornando dai nostri giri siciliani, troviamo un bellissimo cesto di fichi sul tavolo di legno del nostro giardino. La macchinetta del caffè in giardino, il forno, il barbecue, libri e giochi per i bambini, tutto curato e raffinato, tutto bello, tutto a nostra disposizione.
Decido di saperne di più. Con il mio coraggio armato di sorriso, gli racconto che ho un blog e che mi piacerebbe conoscere la sua storia. E si presta il signor Statella, e apre il suo libro dei ricordi, e la sua cantina delle meraviglie – sempre chiusa se non per ospiti particolari – e mi racconta e mi emoziona. Un vero onore.


“Scopro” bellezza all’infinito. Noi siamo stati a casa di Nino Statella, colui che ha portato la cucina catanese in tutto il mondo e che ha servito Papa Wojtyla. La storia di un PiantaGrani siciliano, partito dal nulla.
Non mi dite più che esiste il “caso”. Ci sono certe storie che ti vengono incontro, tu le devi solo accogliere.
Il seme, l’origine della storia
Figlio di un coltivatore diretto, Nino nacque ad Agira, paese in provincia di Enna.
Il padre, voleva che il suo unico figlio diventasse ragioniere.
Nino non ne voleva sapere. Faceva la terza media e a scuola arrivò un depliant dell’unico istituto alberghiero della Sicilia. A Palermo. Il ragazzo, già determinato, vinse: andò all’istituto alberghiero, in convitto ma con pochissimi soldi per vivere. Accanto alla scuola c’era una pasticceria, Nino iniziò subito a fare il lavapiatti.
Da quel momento in poi, fu autosufficiente e continuò a prosperare: erano gli anni ’60 e per i dieci anni successivi alla fine della scuola, cucinò nelle più belle città , nei migliori alberghi del mondo e sulle più lussuose navi da crociera. Ha elencato qualche luogo, ma la lista è lunghissima: a Parigi, Bruxelles, Londra, sulla Princess Cruise, a Saint Maurice, a Villa d’Este a Cernobbio con piscina galleggiante sul lago, al Grand Hotel di Rimini, e tantissimi altri.
Nino tornò in Sicilia nei primi anni ’70, per stare vicino a sua madre che non stava più bene in salute.
Lo convocarono subito al Central Palace, il migliore albergo di Catania.
In sei mesi da “chef de rang” , passò a maître d’hôtel fino a diventare responsabile chef.
Un giorno conobbe Anna: aveva con i calzettoni lunghi, la coda di cavallo e bellissimi occhi penetranti. Se ne innamorò. È la signora Anna che abbiamo conosciuto, la bella moglie di Nino Statella.
Tutti i VIP che arrivavano a Catania passavano dal Grand Hotel e decantavano i suoi piatti. Lui ha stravolto la cucina catanese (abbinando ad esempio la frutta al pesce) aggiornandola.
Nino decise di fondare il proprio albergo ristorante. Nacque il “Poggio Ducale”, Era sempre prenotatissimo, fino a dieci giorni prima.
Le intemperie, le prove.
Una vita costellata di successi. Quando però intraprese la nuova avventura con il suo nuovo ristorante grand gourmet “La locanda del vinattiere” si scoraggiò: sua figlia, l’erede del talento culinario degli Statella (il figlio, Calogero, è un importante enologo siciliano) ebbe impegnativi problemi di salute poi risolti grazie a Dio, ma lui decise di ritirarsi. Aveva sessanta anni e una carriera lunghissima alle spalle. Tanto ancora da dare, Nino era solo un pò stanco.
Poi gli arriva una telefonata: era un grande imprenditore di Enna che aveva aperto un grande albergo. È stato ad Enna cinque anni e ha fatto partire alla grande il Palace Hotel Federico II.
Il raccolto, i risultati
Ogni cosa che Nino Statella ha toccato, è diventata oro. E ha fatto tutto da sè: le ville di famiglia sull’Etna, per sè e per i figli, in luoghi silenziosi, per trovare relax dopo ore di lavoro impegnative.
E Nino continua, in quella mattina umida di agosto ad affascinarmi con le sue storie delle quali è costellata la sua carriera straordinaria: Nino cucinò per il Papa Wojtyla che negli anni ’80 venne a Catania. Servì Karol e il suo comitato. Fu emozionante: ricorda ancora il segretario particolate Navarro, che ricordava al Papa l’orario per il riposino post prandium.
E ricorda ancora il menù che servì al Papa: Carpaccio di Pesce spada con verdura di campo e melograno, risotto con bottarga e gamberi, spigola al profumo di mandarino e cassata siciliana. Tutto fatto rigorosamente con materie prime siciliane e con le sue mani.
Una volta cucinò a Strasburgo per oltre seicento deputati. Si portò il Tir con le materie prime catanesi. Tutto, anche il prezzemolo, ci tiene a ricordare. Da Strasburgo avevano chiesto solo di Nino Statella.
È stato Vicepresidente della FISAR, Federazione Italiana Sommelier, e Federazione Italiana Cuochi e ha fondato l’Associazione a Catania.
Lavorava tantissimo, guadagnava altrettanto e viaggiava in giro per il mondo con la famiglia, costruiva le sue ville e le riempiva di bellezza, quella di cui noi possiamo oggi godere.
Ricorda le serate di cucina siciliana a Budapest, una serata a Saint Vincent: alla fine dell’applauditissima cena, gli ospiti vennero omaggiati con un Rolex.
Pavarotti in scena al Metropolitan a Catania, andò a cena al Central Palace. Pavarotti e Nino Statella diventarono amici. Luciano fu folgorato dalla bottarga di tonno e dalle profumatissime pesche di Leonforte, presidio Slow food.
Nino fece avere una scorta di pesche all’alba in aeroporto, cercate di notte, solo per Luciano Pavarotti.
Attualmente gestisce importanti Catering a richiesta e la sera ogni tanto va a cucinare “Al solito posto”, ristorante a Catania.
E lui ama la terra catanese e i porcini dell’Etna, il mailino nero di Nebrodi e il pistacchio unico al mondo, forse perchè, dice Nino stesso, cresce su terreno lavico.

Cosa si inventerà con gli amati prodotti della terra nera? Sentiremo ancora parlare di Nino Statella, ne sono certa. Lui è come l’Etna, non si acquieta mai: parola della signora Anna.
Foto e testo di Loredana Parisi