La rivoluzione lenta di un cilentano sapiente.

La gente scopre qualcosa, impara come funziona, e si mette a sfruttare la natura pensando che sarà per il bene dell’umanità.

Il risultato di tutto ciò, finora, è che il pianeta è diventato inquinato,
la gente disorientata e noi abbiamo aperto le porte al caos dei tempi moderni.

In questo podere noi pratichiamo l’agricoltura del non fare e mangiamo cereali,
verdure e agrumi integrali e squisiti. Esiste una fondamentale e significativa
soddisfazione nel solo fatto di vivere vicino all’origine delle cose.
La vita è canto e poesia.

(La rivoluzione del filo di paglia – Masanobu Fukuoka)

Il monte Bulgheria si stende all’orizzonte come una leonessa addormentata che veglia su ciò che ha di più caro. Alle spalle il monte Centaurino, un piccolo polmone di fitta vegetazione, domina il paesaggio compreso nel Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.

Camminare nella tenuta di Mario Donnabella significa muoversi in mezzo all’erba che cresce spontanea tra i filari della vigna e dell’orto; sentire le rane che gracidano e si tuffano in un laghetto poco distante; ascoltare il concerto degli uccelli che nelle sere d’estate, al calar del sole, vanno a ripararsi su una pianta di alloro e perdere lo sguardo fra querce, ulivi, eucalipti e piante tipiche della macchia mediterranea.

Mario è una guida mite e sapiente, dal tono pacato e dal sorriso gentile. Mostra con orgoglio i frutti della sua terra: l’uva, le olive, le piantine del vivaio. Quando gli fai notare che il suo orto è infestato dalle erbe ti risponde placidamente che questa pratica fa parte del metodo dell’agricoltura naturale che sta perseguendo da una decina di anni e te lo racconta e te lo spiega come se avesse sempre fatto quello.

Filari della vigna.
Vendemmia 2018.

Mentre parla capisci che la sua storia è l’emblema di chi con lo studio e la voglia mai doma di conoscere può imprimere un preciso orientamento alla propria vita. Decidere di farlo nel rispetto di Madre Terra è un valore aggiunto non da poco. Quella stessa Madre Terra che amorevolmente, e non ricambiata, ci ospita da sempre.

IL SEME, L’ORIGINE DELLA STORIA.

Siamo a Borgo Cerreto, piccolo cuore verde del Cilento, situato fra i comuni di Torre Orsaia e Rofrano, fra colline puntellate da cerri secolari, da cui il borgo prende il nome. La storia di Mario Donnabella non può che iniziare da qui, dal “Casino del Cardinale” in cui è nato, un antico possedimento di caccia risalente al ‘700, che la sua famiglia ha acquisito e preservato nel tempo. Questo palazzo, di cui è ancora ben visibile il portale in pietra della cappella rurale annessa, risuona di antiche vicende e potrebbe raccontare dei monaci basiliani probabilmente vissuti qui a lungo e qui stanziati, come dimostrano le opere per l’agricoltura realizzate durante la loro permanenza in questi luoghi di pace e di armonia con la Natura.

La vicenda di Mario Donnabella, vivaista e viticoltore cilentano, non può prescindere da questo passato con il quale entrarono in contatto i suoi avi e poi lui, grazie al coraggio dei suoi genitori, Aniello e Rosa. La sua infanzia è trascorsa qui, in un continuo provare a cucire vecchio e nuovo, da attento osservatore del mondo qual è sempre stato.

LE INTEMPERIE, LE PROVE.

Da ragazzo analizza il piccolo mondo contadino di suo padre – con l’orto e gli animali da governare solo per sopperire alle esigenze familiari – e crescendo prova a rispondere ad una domanda generata dal suo stesso contesto: può esistere un’agricoltura sana e rispettosa che non sia solo di autoconsumo? Per arrivare a darsi una risposta ci sono voluti molti anni, inclusi gli studi di agraria a Portici, mai terminati.

La prima risposta che si è dato, come succede spesso, è in contrasto con quella di suo padre: coltivare per sopravvivere non ha senso. E allora nella metà degli anni ’80 fonda l’azienda vivaistica Silva Plantarium che nel nome racchiude tutta la sua missione: preparare le piantine da rimboschimento e destinate alla rinaturalizzazione di terreni che devono essere restituiti al ciclo della natura.

Si impegna in questo, studia, mette su i capannoni per le serre in cui far crescere le piantine e accudirle in ogni passaggio prima di lasciarle al suo acquirente. Si dota di laghetti artificiali, ben tre, che circondano in modo omogeneo la proprietà per garantirsi l’acqua, indispensabile per la sua attività. Segue corsi di aggiornamento e continua a studiare e a conoscere le piante per fare al meglio il suo lavoro.

Ed è proprio dalla sua capacità di continuare a studiare e dalla sua voglia di conoscere, di non essere legato a processi e metodiche eseguiti in modo meccanico, che arriva la svolta. Grazie alle pagine di un libro. Grazie all'”incontro” con un botanico e filosofo giapponese trova finalmente la sua risposta, che gli permette di chiudere il cerchio e ritornare ad un tipo di agricoltura che più si avvicina a quella di suo padre.

Un lampo reso possibile dalla sua consapevolezza che la vita è cambiamento, un ciclo continuo inarrestabile. Come insegna la Natura.

IL RACCOLTO, I RISULTATI.

Quando legge “La rivoluzione del filo di paglia” di Masanobu Fukuoka, che racconta come applica il metodo dell’agricoltura naturale nel suo villaggio, capisce che per dare veramente un senso al suo lavoro, in una terra non sempre facile come il Cilento, deve seguire quella strada.

Le posizioni di Fukuoka possono apparire disarmanti a chi è abituato a concepire l’agricoltura come un processo industriale fatto di macchine e chimica, di percentuali e asticelle da rispettare. Fukuoka dice semplicemente di non fare nulla – tant’è che la sua viene definita “agricoltura del non fare”:  di non zappare né arare la terra; di non usare prodotti chimici né per far crescere le coltivazioni né per combattere i parassiti. Un “folle”. Alla base c’è l’idea di sviluppare una specie di cooperazione con la natura: la terra può raggiungere un suo equilibrio attraverso le piante che crescono spontaneamente, le quali sono in grado di rigenerare e produrre quell’humus necessario a dare linfa vitale alle coltivazioni.

Mario non la ritiene una scelta folle: in fondo è un metodo che inconsapevolmente sta applicando, e vedendo applicare, da sempre nei suoi uliveti. Perché non provare anche con le viti? Gli agronomi con i quali si confronta prima di iniziare qualsiasi attività gli sconsigliano di usare questo metodo, ritenuto poco adatto al terreno argilloso della sua tenuta. Applicare il metodo Fukuoka alla viticoltura poi, sembra una pazzia dato che è stato per lo più usato per la coltivazione di riso e altri cereali. Ma Mario sente di dover sperimentare prima di abbandonare il campo.

Una terra che è stata da sempre dissodata e ha conosciuto l’aratro e la zappa non può da subito dare i suoi frutti con un nuovo metodo, serve tempo. E Mario si prende il tempo necessario per fare le sue sperimentazioni. Motivato nel recupero degli antichi vitigni del Cilento, parla con gli anziani del posto e delle zone limitrofe e arriva a piantare 15 varietà. Dall’analisi del DNA emerge che solo tre vitigni sono veramente espressione della sua terra, l’Aglianicone, il Santa Sofia e il Mangiaguerra, così si concentra su queste produzioni.

Aglianicone.
Santa Sofia.

I risultati della prima vendemmia, frutto del nuovo metodo, smentiscono tutte le Cassandre e quelli che lo ascoltano scettici o con un sorriso di scherno quando racconta il suo metodo produttivo. Un metodo che in Cilento è per lo più sconosciuto e che per la viticoltura è applicato principalmente nel Centro-Nord Italia e in Francia.

Nel 2014 produce il suo primo vino con etichetta: il rosso Buxentum (Aglianicone) ed il bianco Kamaratòn (Fiano e Santa Sofia). Anche nella scelta dei nomi dei suoi vini non c’è nulla di casuale. Anzi, sono gli ambasciatori della sua terra e del suo metodo.

I vini dell’Azienda Silva Plantarium.
La cantina dove il vino riposa.

Buxentum è il nome latino dell’antica Pixunte, oggi Policastro Bussentino, e rievoca il legame con le popolazioni in fuga dalla costa, a seguito dell’invasione di Roberto il Guiscardo. Il normanno distrusse Policastro costringendo molti abitanti a migrare verso l’interno ed è da queste migrazioni che sono poi nati Torre Orsaia, Castel Ruggero e Borgo Cerreto.

Kamaratòn è il nome greco di Camerota, comune cilentano di cui era originaria la sua nonna materna Vincenza. Ma è anche il nome della ninfa che respinse l’amore del nocchiero Palinuro e fu trasformata in una roccia, quella su cui poi sorse l’abitato.

Il vino da agricoltura naturale di Mario Donnabella sta trovando i suoi estimatori, sia in Italia che all’estero, principalmente in nicchie di mercato lontane dalla grande distribuzione.

La rivoluzione lenta di questo cilentano sapiente dal cuore mite è solo questione di tempo.

Per approfondire: www.silvaplantarium.it

Di Assunta Coccaro

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