Chi mi darà quest’anno “U Scarciedd“?

Siamo in piena pandemia da Coronavirus, abitiamo in Campania a circa quaranta chilometri dai nonni del paese e a circa venti dalla nonna di città.

Come tanti bambini e ragazzi che vivono in famiglie nucleari (composte dal solo nucleo ristretto), dall’inizio del mese di Marzo, Vincenzo ed Emanuele non hanno avuto altri contatti se non con i genitori. Niente scuola, niente palestre, niente piscina, niente amici, tutte le abitudini da reinventare e in appartamento. La didattica a distanza è partita subito, ed è un buon “riempitivo”, ma non siamo tutti uguali: c’è chi è stato capace di adattarsi bene e subito, chi ha insegnanti più coinvolgenti, chi è più proattivo, chi meno. Vincenzo ed Emanuele ragazzini come tanti, uno in terza media, l’altro in quinta elementare, dopo la prima settimana di disorientamento e proteste, si sono adattati comprendendo come la didattica a distanza non fosse facoltativa, bensì necessità dettata dal non poter frequentare le lezioni in presenza.

In sintesi, come per tante famiglie, le giornate sono trascorse tra lezioni online, palleggiamenti in salotto (la reclusione è più complicata se ordinariamente si è animaletti da contatto fisico e molto sportivi, come Emanuele) contrasti tra fratelli, piccole lotte con i genitori attivi in smart working vani cercatori di pace e silenzio.

Già, il lavoro a distanza dei genitori al tempo del Coronavirus, che per i miei figli non è una novità visto che da anni vivono con noi, liberi professionisti che si alternano – entrambi – tra personal computer, telefono, giornate presso clienti e partner, cucina e lavatrici. La vera, spiazzante novità per i ragazzi è il dover stare a casa senza appello.

Mentre i giorni scorrevano tra dati del contagio, lavoro, didattica online, video chiamate e qualche strana festicciola online, mia madre insisteva nel volermi mandare il pacco da Palomonte: olio di oliva, conserve, uova delle sue galline. Ho rifiutato sempre: siamo in Campania, le restrizioni sono forti e i contagi ci tengono sul filo del rasoio, non ho voluto creare movimento e potenziali pericoli. Ho omesso di dire a mamma di aver comprato delle conserve, le quali, seppure artigianali e di qualità eccellente, non sono fatte in casa e non da lei.

Verso Pasqua tutto è cambiato: Vincenzo si è ricordato del nennillo di pane con l’uovo sodo come sorpresa che mia madre gli regala da quando era piccolo e che lei chiama u Scarciedd. Un bambinello di pane, una leccornia per Vincenzo che scarta i dolci e sceglie il pane e l’uovo da sempre. A quel punto ho deciso di accettare il pacco. Nonna Filomena si è adoperata con i nipotini conviventi e ha preparato pizzechiene e scarcieddi per tutti, e Sabato Santo, all’alba, il pacco è stato recapitato da amico di famiglia che fa il tragitto Palomonte – Salerno ogni giorno per lavoro. Nuovi ed efficaci corrieri dell’amicizia, in mascherina, guanti e affetto. L’amico- corriere mi ha raccontato al telefono che la nonna nel parlare dei nipotini “lontani” piangeva.

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Quanto ripieno mettere nella “Pizzachiena”?

 

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Un forno pieno di promesse

Il pacco è arrivato ed ha riservato la sorpresa dell’assolata colazione del Sabato Santo in quarantena.

Mica solo pizzechiene e scarcieddi? Giammai! Olio, conserve di pomodori, cicoria congelata, pane e il gruzzoletto del regalo di Pasqua per i “bambini” (banconote) tra le vettovaglie.

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Colazione vorace di Sabato Santo in quarantena con “Scarcieddi” della nonna

La mia storia è simile a quella di altre, e nemmeno tanto interessante rispetto a tante, se non per lo spunto di riflessione che ne è derivato. Quanto siamo legati alle tradizioni noi gente del Sud Italia? Quanto le trasmettiamo ai nostri figli? Tanto legati da meritare ordinanze anti-pastiera e anti-casatielli?

E soprattutto, quanto ci mancano le nostre tradizioni e abitudini, specialmente quando ne siamo privati per qualche motivo magari da noi indipendente? Una serie di domande che mi frullano da giorni, in un momento in cui la dimensione personale è molto assottigliata.

L’emergenza COVID-19 ha prodotto un nuovo senso della comunità: la malattia è collettiva, il lutto è collettivo, la trasgressione delle regole è affare di tutti e non della legge, anche la tradizione e l’affettività non sono più appartenenti alla sfera privata, sono anche essi nuovi riti collettivi.

La solidarietà si moltiplica, i pacchi devono arrivare ai bisognosi, e tra questi ci sono anche figli e parenti lontani da sè: in sicurezza ci si deve adoperare per garantire una sorta di compensazione di una lontananza forzata, un rito per colmare l’angoscia di una situazione in cui l’unica cosa chiara è che il capitano dell’avventura è solo Madre Natura.

Lo ha detto Papa Francesco, lo pensiamo in tanti: quell’uomo che si illudeva di essere immune ai cataclismi, alle carestie, alle guerre e alle epidemie, dall’oggi al domani si è ritrovato nudo, deve fare i conti con se stesso e cercare la forza e il coraggio di capire dove cambiare. Quell’uomo certi giorni si aggrappa al bisogno della ritualità, della simbologia, di quella che chiamiamo tradizione.

L’umanità di inizio Aprile 2020 è rappresentata per un attimo da quel Vincenzo, adolescente nerd che passa il suo tempo tra fumetti, game, anime giapponesi e manga, libri e studio ma che alza gli occhi dal suo mondo per un secondo, e chiede chi gli darà quest’anno U Scarciedd.

Ognuno quest’anno cercherà la propria Pasqua per sentirsi ancora parte di un mondo noto: nelle pastiere da fare a casa e pubblicare sui social, negli sfoghi velenosi sugli argomenti del momento, nell’ironia dei Meme che girano all’impazzata. A Pasqua 2020 e ogni giorno della quarantena di oggi e di domani, l’uomo cercherà appigli di sicurezza per tenersi forte nella tempesta.

Qua a casa mia U’ Scarciedd’ è arrivato, la compensazione per ora è avvenuta, tutti siamo per un attimo più contenti.

Per oggi e per tutti il cibo rituale, fondamentale in ogni singola storia di questa quarantenaè necessario più del solito.

Buona Pasqua in quarantena a tutti.

Loredana Parisi

 

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